17 febbraio 2006

Sensi di colpa colossali – Shadow of the colossus.

Ammetto di essere spiazzato, sono basito (da quanto sognavo di poter usare questa espressione da “omino bufo”!) sento che c’è qualcosa che sta cambiando in me e questo mi toglie una delle poche certezze acquisite fino ad ora.. Io nei videogiochi voglio vincere; in tutte le accezioni del termine: arrivare primo, mettere K.O. il mio avversario, uccidere i nemici della libertà, sconfiggere i rapitori di innocenti ed indifesi, sbaragliare i miei avversari, vendicare mio padre/fratello, difendere il mio ideale, onorare la famiglia.. insomma IO VOGLIO VINCERE!! O no?

Vado a spiegarmi.
La SONY, e più precisamente la SCEI (Software House interna alla SONY) in barba alle consolle next-generation e al trend degli ultimi anni in base al quale ogni gioco deve contenere una sezione di guida, una FPS, una stealth e una platform, crea un gioco per la Playstation2 semplice semplice con un incipit nella norma, graficamente buono (ma al di sotto delle aspettative e degli standard a cui si è arrivato), con un frame rate (la fluidità delle immagini) instabile e ballerino, con (secondo alcuni) problemi di telecamera e (secondo molti) noioso.
Ma a parte le mere questioni tecniche questo gioco offre quello che pochissimi altri giochi riescono a dare in dosi modeste; sto parlando di sensazioni in tutte le salse: ammirazione, sbalordimento, tristezza, insicurezza e chi più ne ha più ne metta!
Il nostro protagonista arriva in un castello (tra l’altro architettonicamente stupendo) in sella al suo cavallo Agro, di cui parlerò più avanti, con in mano una ragazza priva di vita.
Non si conosce il legame tra i due ma è ipotizzabile che sia la sua amata. Per lei abbiamo rubato una spada sacra con la quale potremo uccidere dei colossi, necessario rito per la resurrezione della ragazza secondo una secolare leggenda.
Grazie ad un fascio luminoso della spada il ritrovamento dei colossi non è particolarmente difficoltoso, questo espediente si rende a mio avviso necessario vista la vastità della mappa di gioco.
Cavalcare in silenzio in sella al nostro fido Agro, accompagnati esclusivamente dal rumore degli zoccoli, dal fischiare del vento, dai richiami dei falchi, che talvolta accompagnano le nostre peregrinazione, è un’esperienza unica e coinvolgente. Fermarsi vicino ad un laghetto scendere per pregare (leggi salvare) su uno dei templi disposti nella mappa e vederlo andare a dissetarsi come un normale (e vivo) animale rende l’animo leggero e in pace. La simbiosi che il gioco riesce a creare tra il nostro simulacro ed il cavallo è qualcosa che va oltre ogni manuale del perfetto programmatore; come esempio posso citare la perdita del nostro destriero prima dell’ultimo colosso, la sua caduta in un crepaccio, oltre che inaspettata, è stato un colpo al cuore.
Il silenzio e l’armonia vengono impietosamente interrotti con una musica epica alla comparsa del ”nemico”, a proposito il gioco ha una colonna sonora di livelli altissimi con una realizzazione eccezionale grazie ad un’orchestra sinfonica magistralmente diretta.
La nostra presenza va ad interrompere un riposo millenario, l’aspetto ancestrale è deducibile dalla folta erba e dalla polvere che hanno avuto il tempo di crescere/posare sul corpo dei colossi, per alcuni il termine colosso potrebbe sembrare esagerato ma non è assolutamente sprecato, alcuni di questi, specialmente i primi, vedono il nostro avvento come una scocciatura e non avvertendo la minaccia farà si che mentre alcuni si gireranno per nulla infastiditi altri giocheranno con noi come potrebbe fare un gatto con un topo.
L’uccisione di questi marcantoni passa attraverso l’attento studio della conformazione materiale del nostro antagonista al fine di capire come arrampicarsi su di esso e colpirlo con la spada nei suoi “talloni d’Achille”; il gigante cercherà di scrollarsi di dosso il fastidioso insetto proprio come faremmo noi con una zanzara. La sfida il più delle volte è vinta in maniera semplice e intuitiva mentre a volte bisognerà provocarlo e farsi attaccare per poterlo risalire. Ogni colosso richiede, di media una quarantina di minuti per il suo abbattimento, riuscendo pertanto a completare il gioco in una decina d’ore.

Sento già un mormorio in fondo alla sala:“Ma allora dov’è che questo gioco si distingue dagli altri?”…calma e abbiate fede.

Ogni volta che colpiremo il titano i lamenti di dolore della creatura e consistente getto di liquido 'arterioso' nero come la notte presagiscono che qualcosa non va come i normali cliché videoludica ci hanno insegnato.
Nonostante alcuni handicap, come il non poter rimare aggrappati troppo a lungo, e la maestosità della creatura si percepisce che il nostro avversario ha ben poche possibilità di sconfiggerci e che il suo destino è inevitabilmente scritto: dovrà morire per far concludere il cerimoniale per rianimare l’amata.
L’ebbrezza vertiginosa dell’eliminazione ci cela una novità: stiamo sovvertendo un altro stereotipo videoludico: non dobbiamo ripristinare un equilibrio, ma alterarlo, distruggerlo per sempre.
E questo, man mano che procediamo con il safari dei colossi, quest’ultimi lo avvertono; temono per la loro estinzione ci vedono come un pericolo, un barbaro trucidatore che opera solo per scopi PURAMENTE egoistici, che machiavellicamente intendere raggiungere il suo fine.
La ctuscene che pone fine al combattimento (che abbiamo visto essere una non-lotta) coglie il giocatore con quello che non si aspetta, abbiamo sconfitto un nemico mi attendo una musica trionfate ed epica, mentre una coro piangente per la caduta dell’innocente gigante ci da un pugno allo stomaco. Abbiamo interrotto qualcosa di eterno, profanato qualcosa di sacro.
Nessun videogioco mi aveva mai dato l’idea di cosa da commettere un omicidio. Nessun sparattutto neanche il simulatore di sicari. Io non sono il giusto, l’unica colpa dei titani è quella di far parte un rito che non li riguarda ed io mi sento come Abramo che porta suo figlio come sacrificio a Dio, non è giusto ma è quello che si deve fare.
Dal corpo del caduto fuoriescono lingue nere che mi prendo e mi fanno perdere i sensi. Quando mi risveglio sono lungo nel castello circondato da ombre silenziose (una per ogni colosso) che mi guardano e mi giudicano e mentre l’amata, di colosso in colosso, riacquista un colorito più sano l’aspetto del nostro avatar peggiora e diventa corrotto.
Sono abituato ad uccidere nei giochi perché devo ristabilire la pace e l’ordine o per proteggere/vendicare qualcuno o qualcosa ma soprattutto perché non sento il peso delle conseguenze. Qui no, anzi sono colui che solitamente combatto ed abbatto, colui che destabilizza l’ordine e la cosa mi turba.

Sono disposto ad accettare i sensi di colpa del mio comportamento in un videogioco? Forse no.

Paolo

Dimenticavo il creatore e ideatore del gioco è Fumito Ueda creatore di ICO (http://frunti.blogspot.com/2005/09/si-sta-come-dautunno-sugli-alberi-le_20.html)

2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

A parte che dovevi specificare fin dall'inizio che il tuo articolo avrebbe contenuto spoiler sulla trama (e ti è andata bene che l'ho fatto americano se no ti picchiavo), ho trovato Shadow of the colossus l'esempio granitico di come un videogioco possa essere arte, e di come possa essere per pochi eletti. Fumito Ueda ha decisamente sfornato un altro capolavoro. Sono molto curioso di vedere cosa creerà con la prossima generazione.

19 febbraio, 2006 02:11  
Blogger frunti said...

sul discorso dello spoiler.... bhè hai ragione.
Per quanto riguarda la next-generation, avrei voluto vedere Ueda alle prese con un hardware più potente (LEggi PC o XBOX).
Non è solo mia la speranza di vedere una sua opera come titolo di lancio della PS3?

19 febbraio, 2006 20:01  

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